sabato 12 aprile 2008

De infelicitate

Le pretese del presente post sono minori di ciò che il titolo suggerirebbe: l'oggetto della discussione è circoscritto all'infelicità e felicità dei soli uomini. Poco so della felicità e della sua mancanza presso gli altri animali, le intelligenze angeliche e gli dei, benché in proposito nutra qualche concreto sospetto.
Prendo le mosse dalle motivazioni che mi inducono a parlare di infelicità piuttosto che di felicità. La ragione è presto detta: quest'ultima ci è ignota e pertanto sarebbe ozioso parlarne; che si frequentino dunque lidi a noi più noti. Eppure quasi tutti gli uomini vivono nella fiduciosa speranza di poter essere felici quando non sono perfino convinti di esserlo. Il peso dell'esistenza è avvertito come più lieve e questo, a mio avviso, soprattutto in virtù della solida presenza della prospettiva futura nel nostro presente. Quanto è più agevole attribuire al futuro una positività che spesso al presente è impossibile assegnare! E che dire del segno che viene in genere attribuito agli eventi che si sono già vissuti? Sia sufficiente ricordare in proposito quanto sosteneva Giacomo Leopardi in relazione al rifiuto, da parte degli uomini, di vivere daccapo la medesima esistenza già vissuta in quanto globalmente ritenuta insoddisfacente. Tutt'al più si potrebbe aggiungere che una soluzione ampiamente adottata dagli uomini al fine di approntare una strategia difensiva nei confronti dell'infelicità che proviene dalla percezione e considerazione del presente che si vive consiste nell'astrarre, cristallizzare e idealizzare un frammento di tempo vissuto privandolo di ogni possibile segno negativo che lo caratterizza. Si pensi agli anziani che ricordano con nostalgia i bei vecchi tempi e la vigorosa gioventù o anche solo i giovani che ricordano la tenera e incantata infanzia. Illusioni! Direbbe il filosofo. L'uomo procede sempre sulla via del dolce quanto necessario autoinganno. Ad ogni modo, simili valutazioni potrebbero anche suggerirci che ciò che gli umani assumono come momenti felici spesso non sono altro che momenti meno infelici. La relazione con qualcosa d'altro sembra cambiare le carte in tavola. Ma ciò che è più importante è che, ancora una volta, ci troviamo costretti a parlare della felicità facendo ricorso ad un oggetto più solido, che tuttavia, come mi sforzerò di mostrare in seguito, decisamente più solido non è. Inoltre, non si trascuri che la stessa pallida imitazione della felicità che la costruzione del ricordo può concedere non è spesso altro che fonte e sorgente di nuova infelicità: che cos'altro sarebbe anche la più dolce nostalgia?
Per tirare le fila del discorso, nè il passato nè il presente sono generosi con l'uomo fino al punto di concedergli la felicità e il futuro, solo perchè incerto, è l'ultima riserva dove forti possono crescere le illusioni. Tuttavia, la dimensione dell'avvenire è per altri versi la condizione più necessaria dell'infelicità: che cosa ne sarebbe dei moti del desiderio, senza i quali, in ultima analisi, verrebbe meno l'infelicità, se non sussistesse il futuro (del resto, anche quella che proviene dai ricordi è intrisa di desiderio di vedere mutate le cose nell'immaginazione, movimento che al di là di ogni apparenza rimanda ad un'azione a venire)? Certamente qualcuno mi rimprovererà un eccessivo pessimismo ma credo che da parte mia possa essere legittima la seguente obiezione: non si identifica forse la felicità con uno stato durevole di benessere e dura forse il passato o dura forse il presente? Durerà forse il futuro ma ciò che è da venire è polvere nell'aria.
Giunti a questo punto della discussione sorprenderò quanti tra di voi, uomini di poca fede, disperavano che queste mie povere riflessioni potessero offrire anche ragioni di speranza. Infatti, proprio in virtù dell'inconsistenza del passato e del presente vissuti, come del futuro, il nostro animo non dovrebbe soccombere di fronte all'esperienza dell'infelicità che, ahinoi, li caratterizza. La nostra esistenza dovrebbe acquisire una levità di cui neanche l'esistenza del più felice degli uomini potrà mai godere. Allora che la folle corsa verso la soddisfazione di desideri impossibili da soddisfare o gioie sterili che richiedono un carico di sacrifici di gran lunga sproporzionato al risultato cui si aspira venga fermata prima che parta; che il vano sforzo di godere intensamente fino ad annientare le capacità della nostra corporeità benché frutto, talvolta, di una germinale consapevolezza della natura sfuggente del piacere venga abbandonato; in altri termini, che la coscienza della necessità della privazione di felicità in cui consiste l'infelicità accompagni i nostri giorni con la serenità che può donare. E' in gioco l'antica questione della lotta contro il desiderio che si vuole rendere antidoto al male che crea: desidera e la premurosa natura e i suoi diligenti figli, gli uomini, saranno in grado di celarti l'assurdità dell'esistenza e la lunga sequela dei dolori di cui ti vogliono beneficare; del resto, si può andar tra i vermi senza accorgersi di nulla di ciò che succederà nel corso dell'esistenza: basta incessantemente desiderare e, naturalmente, soffrire, ma questo è affare di poco conto.
Infine, concludo, si diffidi da coloro che sostengono l'esistenza di una infelicità perfetta: nulla tra gli uomini si dà di perfetto, tutt'al più può emergere l'assoluto, questo sì compatibile con la fine della nostra vita, la morte, dono prezioso della corporeità di cui siamo costituiti.

venerdì 11 aprile 2008

Ahi lassa Italia!

Le urne vedranno presto l'afflusso degli elettori ma se un cambiamento ci sarà esso sarà di segno negativo. La classe politica italiana, ma sarebbe più corretto parlare di ceto vista la sua refrattarietà al ricambio), sembra sempre toccare il fondo, tuttavia la feccia risale dal pozzo ogni volta in maniera più sorprendente. Per ragioni storiche ben precise individuabili nella rigida ma ipocrita morale controriformistica e nell'asservimento a potenze straniere cui il vile italiano si assoggettava spesso con favore per trarne dei miseri vantaggi l'onestà del nostro popolo e dei suoi rappresentanti politici è sempre stata cosa assai rara a scorgersi, ma nell'ultimo quindicennio si è sommato a questa deplorevole situazione un valore aggiunto. La volgarità della vita politica e sociale ha trovato il modo di esprimersi in forme per certi versi ignote alle altre mature democrazie del pianeta. Quanto dico credo sia stato facile da osservarsi nel corso di questa campagna elettorale e non c'è da stupirsi se questo è successo proprio in occasione di essa: in ogni dove i giorni della propaganda politica riescono arendere peggiori gli uomini, pensiamo se questo può non accadere presso un popolo tanto sciagurato come quello italiano. Si consideri l'uso sempre più diffuso, per di più da parte di importanti esponenti politici, di espressioni triviali quali "non gliela darò mai", "rompicoglioni" (riedizione del vecchio cavallo di battaglia "non possono essere così coglioni"), "io non alcun bisogno del viagra". Ve ne risparmio un lungo e sconcertante elenco ma non posso esimermi dall'aggiungere che sono sempre più in voga le battute, presunte o reali, sul ricorso alle armi per raggiungere nobili obiettivi quali il rifacimento delle schede, percepito come necessario in quanto i politici sono ben consapevoli del carattere ridotto delle dotazioni cerebrali di una considerevole parte dei loro elettori, i quali non sono in grado di espletare operazioni intellettuali meramente tecniche come mettere una croce su un solo simbolo ma che si assume siano capaci di operare scelte politiche, le quali esigono la valutazioni su più variabili. Contraddizioni della politica!
Certo, nelle altre democrazie non tutto è rose e fiori ma i politici italiani si sforzano di importare il peggio di esse. Anche da noi, come da decenni negli States, i maggiori leader avvertono ormai l'esigenza di farsi considerare amici di attori famosi, sportivi e altre star dello spettacolo. Fra qualche tempo potremo assistere alle urla entusiaste di fans in visibilio sotto il palco dei comizi o all'uscita dai palazzi del potere come da tradizione americana, per ora ci possiamo accontentare di timide schiere, per lo più costituite da giovani senza pensiero e senza midollo. Ma cari lettori, non temete, non dimentico che il nuovo inno che accompagna gli sketch di Berlusconi presenta, tra l'altro, una frase come "meno male che c'è Silvio!". Bel passo in avanti sulla strada della trasformazione del politico in una star adulata dai fans, forse. E se invece si trattasse solo di una versione moderna del nostro caro e vecchio desiderio tutto italiano di assoggettarsi all'uomo forte? ad ogni modo, in qualunque direzione si volga il nostro sguardo, c'è solo desolazione.
Quante belle dichiarazioni in avvio di campagna elettorale sull'esclusione dalle liste dei condannati, perfino di quelli in primo grado! E poi cosa ci è stato offerto? Mafiosi, corruttori, ladri e criminali di ogni genere sono in pole position per un seggio in parlamento. E dire che il furbo Berlusconi aveva messo le mani avanti precisando che si sarebbe valutato se si trattava di condanne politiche inventando così la ragione politica della condanna! Non occorreva correre il rischio di una tale figuraccia: tanto tutti hanno imposto i loro fidi infidi perfidi amici. Facendo i conti, probabilmente il numero di pregiudicati in parlamento di questa promettente legislatura sarà costante: un centinaio di chierichetti, ma chissà se ci saranno anche giovanotti con la faccia da film demenziale che con la moglie gravida andranno a puttane!
In questo contesto l'italiano, che è sempre più furbo del suo vicino, pensiamo dello straniero, si farà abbindolare ancora una volta dal più furbo tra i furbi, il quale è furbo perché la legge non esiste. L'individuo che all'estero viene definito, in circostanze diverse o perfino nella stessa circostanza, tanto mafioso quanto massone, ladro, corruttore, barzellettiere e sedicente macho sarà messo nelle condizioni di farsi burle delle istituzioni (viva le decisive riunioni ad Arcore del lunedì!), dei politici stranieri salvo quelli di cui sentirà il bisogno di farsi fedele cagnolino da passeggio (come è bello vedere che i forti sono forti solo con i deboli mentre desiderano mostrarsi devoti con i veri forti!) e della giustizia. Niente sveglia lo stolto italiano: intercettazioni che stroncherebbero la carriera politica di chiunque all'estero (perfino negli Usa, dove è di rilevanza politica anche l'adulterio), banalizzazioni del precariato, dichiarazioni esplicite su futuri impegni di truppe italiane in Iraq, osanna a boss mafiosi condannati all'ergastolo. E del resto, perchè mai l'italiano medio dovrebbe essere sconvolto da tributi all'eroismo di un mafioso che non ha aperto la bocca contro il latore di tali tributi? La maggior parte dei nostri compatrioti la pensano come Berlusconi e Dell'Utri: chiunque può commettere qualsiasi reato ma se non fa del male a me o se perfino mi aiuta è una persona dabbene.
E' in questione il valore della coscienza e dell'intelligenza dell'italiano medio, ma ancor più di quella dei leader politici. Berlusconi ne è l'esempio più lampante, ma altri lo rincorrono affannosamente e per certi aspetti lo hanno già superato: il capo politico è diventato una macchietta, un comico da avanspettacolo e il fatto che l'elettorato non ne abbia una chiara percezione poco conta. E non c'è di che sorprendersi: già ai tempi di Guglielmo II, l'imperatore tedesco, si diceva che vestivano i panni dei sovrani delle figure ridicole rispetto a quelle del pur recente passato; in seguito si rise, invano, della cattiva imitazione che l'imbianchino mise in scena, una tragica parodia dei fasti del passato; oggi si è arrivati al cabaret da bassifondi senza passare dalla fase comica.