giovedì 15 maggio 2008

Aphorismoi beta

Cari lettori (o forse dovrei dire bella lega di bricconi), dopo un lungo silenzio, vi offro altri miei poveri aforismi, che sono per la maggior parte il risultato del fraintendimento di fondamentali letture nietzscheane e di audaci, forse estremistiche ma di certo, ahinoi, non radicali riflessioni su di esse.

Gli enti e il Sè, lo spazio e il tempo abbracciati nella medesima sorte: assorbiti dall'illusione. Il mondo come illusione del soggetto che per primo si illude quando si pensa. Deus sive illusio.

Il mondo come inganno autentico, il Sè come vaneggiamento di Narciso, la morale come feroce illusione. La morte cala come notte del disvelamento.

Scorrono la vita e il mondo come immagine di sogno tra il sonno profondo del non essere ancor nati e del non essere più vivi.

Si oppone fiera alla legittimità della ricerca della felicità la necessità della serenità.

Quale distanza separa il sogno dalla parvenza, l'errore dell'illusione dalla dolce gioia!

Si muove invano l'artista verso la gioia, che sola è data all'opera d'arte.

Gli dei dell'inaccessibile Olimpo tra i terreni umani dolori e l'animo sublime di chi può e sa tacitare la sofferenza. Operava una necessità affinché a quegli venisse concessa la vita dagli uomini.

Ci fa ingenui la cultura; solo allora si dà a vedere la genuinità.

Ha più bisogno dell'illusione il mondo che non il vivente.

Sta, tra la negazione del desiderio e della volontà tutta e l'atroce benedizione dell'orrore dell'esistenza, lo spirito ottuso di chi cede al desiderio e si lamenta dell'esistente.

Si dà l'esigenza della morale per l'esistenza, la necessità della bellezza e dell'arte per la vita, la libertà del conoscere nella filosofia.

Il Greco viveva nella natura e vedeva il satiro, l'uomo moderno guarda la natura, il suo essere naturale, e vede la scimmia. I giovani sono sempre più ottusi dei vecchi.

L'occhio smaliziato trasfigura il mito in realtà naturale o storica e non tarda la superstione a fare la sua comparsa.

La logica applica il guinzaglio all'istinto e sorge il monstrum.

Vede l'alba l'occhio capace di godere il bello quando da poco il sensibile dolore ha visto il suo tramonto. E l'alternarsi di tenebra e luce non accenna ad arrestarsi.

Il dolore chiama il piacere e questo invoca il dolore perché possa non venir meno. Chi potrebbe scorgere nella loro individualità il volto di Dioniso e di Apollo, di Antigone e di Cassandra sotto quelle sembianze? E chi potrebbe così spiegare la spietatezza del piacere, la sua normatività, la sua sete di individualità?

Indebolito, l'individuo si estingue nella massa, che ne potenzia l'individualità. Nessuna organicità nelle masse.

Quasi niente di più stolto dell'uomo: solo il figlio.

Il grave pericolo del pensiero gioca per noi in favore della serenità.

Nel seno la forza di gravità vince la donna. In esso la natura vince l'uomo (stolto).

Si dà intelligenza solo col corpo e nel corpo. Come sono sciocchi gli angeli!