martedì 17 giugno 2008

Animali politici 2: non c'è ignavia

Sollecitato da un devoto lettore mi trovo costretto a fugare i dubbi sulla natura della mia presa di distanza dall'azione politica. Ciò da cui mi tengo fieramente lontano è il miserabile partecipare della potenza del mio capo politico o ancor peggio del candidato che dovrei scegliere, ciò da cui fuggo sono i cedimenti alle fantasie di onnipotenza in cui naufragano i mediocri che sbavano per un seggio da consigliere comunale e la bassezza tronfia di sè che crede di sostanziarsi in polemica politica se ingiuria l'avversario. Del resto, quale sacrificio varrebbe l'impelagarsi tra cotanto squallore se poi la collettività brama l'anarchia, la possibilità di aggirare le regole e la sopraffazione del concittadino anche nelle circostanze più ordinarie? E' forse ignavia di fronte alla realtà questa espressione di disimpegno? No di certo! Le realtà creano se stesse in compartecipazione con coloro che le osservano e chi meglio dello spirito teoretico sa osservare, sa stare a guardare, per forzare un po' i termini della questione? Commentare ciò che avviene, il semplice descrivere la scena su cui si muovono gli scellerati protagonisti della politica lancia un'occhiata sul retroscena e con ciò stesso lo crea. Scena e proscenio non sono tutto: solo la festa delle apparenze per spiriti mollemente effeminati che vantano la propria virilità.
Quanto poi sulla possibilità che si offrano scenari politici differenti da quelli che si presentano meschinamente ai nostri occhi pieni di candore di giovani speranzosi è meglio squarciare il velo delle illusioni. Tutto potrà cambiare dalle nostre parti, ma non nei prossimi due decenni e sono certamente ottimista. Il clientelismo domina ogni azione del fare sociale; corrode la sfera politica dalle sue stesse radici sociali. Non si dà relazione senza cliente. Ovunque e senza timore alcuno di impudicizia: nella sanità, nell'università, nella giustizia, nelle forze dell'ordine. L'unica soluzione che consentirebbe di non sprecare i giovanili anni sarebbe quella di diventare presto cittadini danesi o svedesi, giusto per andare sul sicuro e non fidarsi di tedeschi e francesi, che sono già migliori di noi. Ma sulla danesicità e la svedesicità nuovi inquietanti post saranno scritti e allora molti tremeranno di fronte all'esposizione di dottrine estetiche che non godono del favore dei lettori.

lunedì 16 giugno 2008

Animali politici

Va da sè, la posizione degli elementi componenti il titolo può essere invertita. Quale occasione migliore delle elezioni comunali di un piccolo paese per riflettere sulla politicità in essenza dell'essere uomo? Splendidi esemplari umani che sonnecchiano per anni, anzi decenni, in officine per meccanici, in macellerie o dietro la scrivania da segretaria presso uno studio medico trovano sorprendente espressione nell'agone politico. Tutti cercano voti chiedendoli a qualsiasi malcapitato che si imbatta nelle loro vicinanze. Nell'inebriante atmosfera politica di quei giorni perfino i sentimenti più nobili e degni di un animo aristocratico come l'inimicizia vengono meno; ma del resto non c'è ordinamento democratico che tolleri alcunché di aristocratico, tanto meno di nobile (immagino già l'obiezione dei miei dotti e saggi lettori che addurrebbero quale obiezione il mondo greco; ma lasciamo il mondo altro che è ben lontano dall'appartenerci). La qualità, ancor più che consuetamente nei paesi, viene non aborrita, cosa che sarebbe già pregevole, bensì semplicemente e candidamente trascurata. Il mio voto, il che è dire la mia testa, vale quanto quella della commessa del panificio: la quantità di parenti di un candidato (si badi bene, non il numero, che in ultimo si riconduce sempre all'unità) è l'arma in più e la ragione prima che induce i promotori delle liste a scegliere un candidato per esse. Eppure, i candidati più miserabili non sospettano nulla delle logiche che presiedono alla loro selezione: gonfiano il petto d'orgoglio e cedono alla convinzione che loro sono cittadini in vista, gente capace di deliberare. E quanto più indomita si presenta quella fierezza se più ferma è la loro convinzione che i limiti del cosmo siano stabiliti dai confini del loro comune! E' comprensibile: se si è signori del cosmo tutto la percezione della propria onnipotenza è più sicura.
Ma proseguiamo nelle pur banali riflessioni: dove si può osservare meglio che nel corso delle giornate elettorali presso piccoli paesi quanto sia precaria la legalità? L'Ocse invia osservatori nell'est europeo e non da noi. Faccio qualche esempio parlando del comune in cui ho la ventura di vivere, Viagrande: in palese inadempienza delle leggi i candidati e i loro scagnozzi presiedono militarmente il seggio elettorale nel vuoto dei controlli di coloro che dovrebbero fare i militari per professione. Del resto questi hanno altro cui pensare: conversare amabilmente sui pettegolezzi del paese con i candidati stessi che conoscono personalmente e i più giovani tra loro esprimere commenti sulle presunte bellezze del paese che si raccolgono intorno al seggio giusto per raccogliere un po' di crusca. Naturalmente è lecito che chiunque elemosini il voto anche a due metri dal seggio elettorale e ogni protesta sarebbe vana.
Ed ancora, per completare il quadro, come si potrebbe trascurare che quei giorni di festa elettorale culminano negli eleganti festeggiamenti che seguono la proclamazione del vincitore? Fuochi d'artificio, complessi bandistici e offerta di cibarie a tutti i cittadini determinano in maniera definitiva la natura dell'occasione, del tutto analoga a una sagra paesana o peggio ad una festa patronale. L'esibizione priva di clementia del vincitore, il vivo disprezzo del perdente, la sua irrisione sono degno corollario del tutto (si intende, del tutto cosmico del paese in questione).
Infine una lucida osservazione che ha la pretesa di soddisfare coloro, tra i miei lettori, che hanno palati più teoretici. Ci si duole, nel contesto elettorale nazionale, dello scontro tra schieramenti ideologicamente caratterizzati, ma nei piccoli paesi, al di là degli inverecondi passaggi di fronte cui si può assistere da un giorno all'altro e al di sotto delle apparenze, le connotazioni politiche vengono meno. In altri termini, la maschera dell'idea viene deposta e se i fenomeni raccapriccianti da me descritti hanno luogo è perché das Essentielle dell'uomo (parlare di Wesentliche sarebbe inverecondo quanto quei passaggi) in relazione con l'altro uomo viene fuori senza mediazioni. I graziosi doni della civiltà vengono rifiutati con il rifiuto stesso della maschera. Si oppone allora il diniego anche nei confronti della persona, a dispetto della personalizzazione del fare politico in seno al piccolo paese. E del resto di quali persone v'è traccia tra i protagonisti di quei magnifici giorni? Ve ne è traccia tra gli attori-candidati o tra gli spettatori-elettori? Un candidato alle provinciali mi ha inviato a casa una bella lettera in cui tra l'altro si rammaricava del fatto che i cani non portassero voti, io avrei miei dubbi su tale incapacità elettorale da parte dei cani per l'accanimento mostrato da certa gente; macché dico accanimento, da quale fallacia logica mi sono fatto irretire! Quale accanimento si può dare per chi cane già è; quale divenire si può dare per l'essere?
Ma questi, in fin dei conti, non sono affar nostri: voi siete lettori e non elettori e io mi guardo bene dal candidarmi, perché sono già candido.

venerdì 6 giugno 2008

Via la maschera!

Le coincidenze sono tutto. Ciò che non incide insieme con qualcosa d'altro non ha alcuno statuto di realtà, la quale mai lascia emergere qualcosa d'assoluto, di incidente in solitudine. Ecco la visita del premier nelle sempre meno segrete stanze vaticane, per l'appunto documentata come non mai da reporter di ogni risma; ecco l'ostentazione di una coincidenza di propositi, progetti e azioni tra il Sommo Pontefice e il suo omologo italiano. A questo punto che cosa aspettarsi di meglio della proposta di punire le prostitute (quelle di strada, si intende) per la grave offesa al decoro e ai sani principi tenuti in alta considerazione dagli italiani tutti? Naturalmente, come tra la maggior parte del popolo cattolico o sedicente tale, al governo si vuole pensare (ammesso che esso sia capace di pensiero) che la colpa, nel contesto della prostituzione, sia da attribuire esclusivamente alla donna. Nessuna sanzione si prende in considerazione contro il cliente, contro colui che è la stessa ragione d'essere del turpe mercato. Ma si sa: la colpa è sempre della donna. Speriamo che qualche voce dalla Chiesa si degni di protestare, anche solo per non abbandonare la maschera di chi, in teoria, ama tutti indistintamente. Tuttavia l'esempio è stato dato una volta per tutte: Cristo perdonò la donna, non gli uomini che si erano serviti del suo corpo, pertanto non c'è molto da aspettarsi se non a prezzo di snaturare la sacra tradizione ecclesiastica.
Infine una considerazione: ma siamo sicuri che gli uomini di Chiesa vogliano estirpare la prostituzione e non, sotto sotto, tollerarla e solo arginarla, nella certezza che l'uomo sia debole e che gli vada data la possibilità di sfogarsi? Nulla da obiettare sulla debolezza dell'uomo, ma certamente è, dal punto di vista sessuale, ancora più debole se lo si costringe dentro dei limiti innaturali. Non sono forse gli animali in cattività più deboli di quelli selvaggi? E del resto, come potrebbe un'istituzione come la Chiesa, che auspica, consiglia e comanda la conservazione della famiglia monogamica saper trovare una soluzione contro la prostituzione, contro cui Schopenhauer raccomandava la poligamia come più saggio antidoto?
Nota a margine per sfuggire alle coincidenze, altrimenti sembra di parlare di cose reali: ma perché non si fa alcun riferimento alla percentuale delle donne, quando non bambine, tra coloro che esercitano la prostituzione sulle nostre strade solo perché costrette con la violenza? Semplice: perché secondo la coerente ideologia delle destre, pseudolaiche o confessionali, spesso si ritiene una contraddizione in termini quella secondo cui una donna possa concedere un rapporto sessuale contro la sua volontà.