giovedì 31 luglio 2008

Il corpo malato

Quando un corpo, piuttosto che eliminare le tossine, espelle gli elementi migliori da cui è costituito il medico diviene protagonista e al corpo viene concessa la patente di infermo. Se in questi tempi bui prima della resurrezione volessimo sollazzarci rispolverando vecchie concezioni che vedevano la nazione quale corpo, potremmo cogliere l'occasione per dare un'occhiata al malato. Le forze giovani, più vitali del nostro Paese sono costrette a fuggire all'estero come indicato dalle statistiche, che contano fino al 3% di neolaureati che negli ultimi anni hanno abbandonato l'Italia per cercar fortuna altrove. A rimanere sono i pochi giovani baciati dalla sorte che riescono ad ottenere un posto di lavoro adeguato alle loro aspirazioni e ai loro studi, ma soprattutto una bella percentuale di farabutti della peggior specie, ossia quella costituita dai delinquenti che delinquono senza convinzione e senza intelligenza, solo perché di fatto concesso magnanimamente dalle leggi o perchè, smidollati come sono, intendono emulare i padri. A questi, sarebbe ingeneroso dimenticarsene, si aggiungono i criminali patentati, i manager della truffa e dell'arraffamento più che si può ma non senza arte; mi riferisco a coloro che presto vengono chiamati a rinserrare le file della Grande Armada partitica. E naturalmente non va dimenticata la fetta più grande e appetitosa della torta, la pletora di coloro che i giornalisti che realizzano i servizi per i tg definirebbero ragazzi e ragazze semplici. La peggiore delle schiatte, quella dei vegetali senza desideri se non quello di sposarsi o in alternativa, ma fa lo stesso, convivere con qualcuno che non si conosce e che in realtà non si conoscerà mai nonostante ore ed ore di sesso. Per inciso, è allora che si capisce che la frizione dei corpi produce solo olio di scarto. Che cosa dire? Gli elementi di questo, che è il gruppo più vasto di esemplari giovani italiani, non si conoscono tra di loro e non conoscono l'ambiente in cui sono immersi: al massimo, di tanto in tanto e per accampare scuse sulla loro mediocrità, danno libero sfogo ad un rivendicazionismo lacrimoso e vengono fuori frasi come "se ci fosse meritocrazia ma non ce ne è!" e "se abitassimo da un'altra parte!". Ma questa stomachevole espressione di falso disappunto (in fin dei conti questi individui sono contenti della situazione perché se ci fosse meritocrazia loro non otterrebbero niente di più di quel che già hanno e verrebbe loro sottratta anche una scusa) non risolve i problemi di coloro che meriterebbero di vivere in un Paese in cui la giustizia non fosse solo un sostantivo presente nella dicitura di uno dei ministeri e per di più in coabitazione con una delle parole che più si sono compromesse nella storia, "grazia".
Ma se si prende atto della mediocrità della stragrande maggioranza della popolazione, il paziente lettore dirà: perché mai coloro che sono dotati di buona volontà dovrebbero sprecare le loro energie per cambiare la situazione se la gran massa di coloro che la subiscono se la meritano? La risposta è duplice: primo per egoismo, la più sincera e quindi nobile di tutte le ragioni; secondo perché coloro che aspirassero a far del bene non potrebbero mai sperare di farne ad un gruppo di persone solo se questo fosse costituito da probi viri, visto che ciò non è mai successo nella storia dell'umanità (e poi perfino il terribile e vendicativo dio giudaico era disposto a salvare una città se solo vi abitavano pochi giusti a fronte del ben superiore numero di malvagi!).
Allora che fare? Indignarsi al cospetto delle spregevoli azioni dei piccoli uomini ora presenti nelle istituzioni politiche italiane, parlarne anche con i sordi che, in virtù della meravigliosa concomitanza di una completa cecità, hanno ancora il coraggio di difendere come il salvatore della patria, il duce del Libertismo, il signore di Arcore e Cologno Monzese, nonché unico vero leader, per autoinvestitura, che possa rimediare alla carenza di leadership politica in Europa. Occorre umiliare coloro che lo difendono; vorrei che questo non fosse necessario ma nella nostra società far cambiare opinione a qualcuno presuppone che si prevalga su di lui, quindi non si facciano prigionieri! L'università viene messa a posto da provvedimenti ad hoc e se tutto va per il verso desiderato non occorrerà alcun giuramento dei docenti come sotto il fascismo; la giustizia, dopo numerosi tentativi che oserei definire by-partisan, nel senso di aventi a che fare con lo spirito democratico, cosmopolita, egualitario e non-violento che caratterizza i tifosi della squadra di calcio del Partizan Belgrado, viene saggiamente messa in condizione di non nuocere senza darle apparentemente botte da orbi come in passato, bensì semplicemente rubandole abbastanza soldi perché possa funzionare. Berlusconi non sarà un genio, come del resto tutti protagonisti che hanno calcato la grande scena della storia, ma dopo quindici anni sta capendo come agire.
Infine concludo indicando un ultimo sintomo della malattia che affligge il corpo italiano: i rigurgiti xenofobi; quando il malato sta proprio male incomincia ad attribuire l'origine dello stato morboso in cui si trova a ciò che viene dall'esterno, mentre fatica a vedere che il problema è dentro di sè. La febbre è alta e si dice che c'è caldo, si rifiuta il cibo come non buono e invece non abbiamo fame.

giovedì 24 luglio 2008

Amore e morte

Non si dà nient'altro che cose; tra queste non siamo nient'altro che corpi. Le esperienze più significative che con l'esistenza si levano (sisterunt) fuori (ex) dall'indistinzione delle cose e pertanto appaiono coincidono col massimo vigore del corpo e con la sua minima forza: l'innamoramento e la morte. In quale altro momento splende più abbagliante la gloria del corpo se non nell'amplesso e dove maggiormente si concede l'evidenza della corporeità della condizione umana se non nella bara? La nostalgia per chi è scomparso trova un seppur debole rimedio nella visita al luogo della sepoltura, là dove nulla di più del corpo può essere trovato. E quando si esprime meglio la vitale ricerca del corpo da parte di un altro corpo se non nell'abbraccio degli innamorati, nella copula degli amanti da una parte e nella carezza sul viso del caro estinto dall'altra? Il reciproco incrocio degli sguardi degli amanti volto a non lasciar sfuggire nulla dell'essere corpo dell'altro fa il paio con lo sguardo rivolto al defunto da parte delle persone care o meno care prima che a loro la nuda pietra impedisca per sempre la vista di esso. Anzi, non si sottovaluti un primo segno della superiorità dell'esperienza della morte su quella dell'amore nel fatto che mentre in quest'ultima si cercano bramosi solo gli occhi di coloro che nutrono un profondo interesse l'uno per l'altro (ma non importa se si tratta anche di un amore non corrisposto) fino a volersi possedere, nell'altra invece, non di rado, si può sorprendere lo sguardo avido di colui che solo per caso o falsa buona creanza si trova nella stessa stanza del trapassato e che sembra volersi affannare alla ricerca di un ultimo godimento del corpo morto.
Non è qui in ballo la necrofilia, miei attenti lettori; forse si tratta piuttosto dell'esperienza di un mysterium tremendum che tuttavia esito ad accostare al numinoso nel timore di cedere il passo a ciò che più di ogni altra cosa opera nel velamento del significato di esso, ossia la religione. Se altro non abbiamo che un corpo, se altro non siamo che corpo, allora quale sorpresa dovrebbe destare il fatto che susciti tremore non tanto lo svelamento di questa verità, benché insisto nel ritenere che è dalla vista di un morto che si può più facilmente dedurre la nostra esclusiva corporeità, quanto il semplice incontrarsi dell'esperirsi della nostra corporeità con la corporeità del Tutto. Ed ecco qui un altro elemento che segna la superiorità, per la conoscenza, dell'esperienza della morte su quella dell'amore: quando è Eros ad agire il divenire sembra fissarsi, a dispetto della tanto proclamata vitalità sprigionata dal sentimento amoroso il flusso temporale in cui sono immersi gli innamorati subisce una riduzione all'istante nel desiderio di conservare la felicità del momento e lo spazio d'azione, quando va bene, chiude i propri confini intorno a due sole individualità; segnato il limes può avere inizio il conflitto, il miglior sintomo di una falsa vitalità. Tutt'altra situazione è quella offerta invece dalla morte: nella fissità dell'espressione del defunto, paradossalmente, si dischiude l'eternità della pace e si libera l'accesso al Tutto che ogni cosa comprende di cui abbiamo detto poche righe sopra. Non è in gioco alcuna credenza in un aldilà, ossia nessuna fiducia in una pace dell'eternità, bensì la coscienza del legame dei corpi viventi e di quelli morti, dell'indissolubilità delle cose state, stanti e che saranno. Niente di tutto questo può offrire Eros: di poco momento è l'obiezione secondo cui nell'amore si concepisce la vita futura realizzando così la continuità della specie; innanzitutto non è Eros a concepire, ma Volontà di potenza o Stoltezza, come del resto dimostra la non coincidenza della filiazione con l'amore, inoltre la specie non è il Tutto: si danno ancora corpi al di là e al di qua della specie, pertanto il suggerimento dato da Eros sull'unità del Tutto non è così valido come si potrebbe superficialmente ritenere.
Ma non lasciamoci trarre in inganno: nessuna lotta viene ingaggiata da Thanatos contro Eros, la pace non va mai contro la guerra; il conflitto è disinnescato sin dall'inizio. E' solo l'imperizia del timido autore delle povere cose che state leggendo a dar conto di superiorità e di prevalenze della morte sull'amore: queste sono nozioni che non appartengono alla natura della cosa, la morte; la quale più di ogni altra cosa si avvicina a lacerare il velo dietro cui pudica si cela la Totalità. L'esperienza di essa ci apre una finestra sul cosmo che ci pone in una visuale tanto panoramica da trascurare la virulenza delle lotte tra i corpi sino al punto di farcele percepire come espressione della naturale, ossia fisiologica, dinamica dell'attrito tra essi; e lo stesso vale per ognuno dei rappresentanti delle fazioni di corpi che si presumono in combattimento, portino pure il vessillo di Amore o di Morte.