domenica 31 agosto 2008

Un modello di ritualizzazione dei conflitti

Si sono da poco conclusi i Giochi olimpici estivi, splendida occasione per coloro che bramano il vil denaro e per gli incensatori dell'orgoglio nazionale ad ogni latitudine. La storia umana, ciò si mostra con la più palese evidenza, è un susseguirsi di conflitti armati, i quali spesso hanno l'ultima parola perfino sull'attribuzione della primazia di una cultura sull'altra: anzi, proprio un discorso sull'avvicendarsi delle culture non è qui semplice orpello o futile divagazione tra l'armeggiare dei campi di battaglia, bensì centro di gravità della questione. Come ben spiegato dall'etologo viennese Eibl-Eibesfeldt, mentre gli altri mammiferi sarebbero stati muniti dalla natura di forti inibizione all'uccisione del conspecifico, l'uomo, il più lussureggiante tra i viventi, proprio per il rigoglio della sua vitalità, proprio per la vivacità delle sue virtù, che lo rende l'essere virtuale per eccellenza, avrebbe realizzato il suo sviluppo biologico all'insegna dell'aggiramento di quelle benefiche inibizioni: si sarebbe così lasciato il campo al sorgere di ciò che Eibl-Eibesfeldt ha definito pseudospeciazione culturale. La cultura come origine della guerra: quale sorpresa allora se le culture si combattono? Devono farlo per intrinseca natura. L'umanità, lacerata in culture, nei campi di battaglia si è fatta distinte umanità: i freni inibitori che nelle altre specie impediscono l'attacco del conspecifico non possono trovare spazio se a confrontarsi non sono gruppi di una stessa specie bensì specie diverse. La guerra appare per questa via una naturale lotta tra predatori e prede, come tante se ne possono osservare nel regno animale, anche se si deve mettere in evidenza che all'uomo riesce di andare oltre i più consueti spazi del biologico mettendo in scena anche scontri tra predatori da una parte e predatori dall'altra.
Ma i lettori si chiederanno perchè tutta questa dotta spiegazione; eccone di seguito il motivo. Se l'aggressività tra conspecifici presso gli altri animali sarebbe tenuta a freno e non condurrebbe alle stesse nefaste conseguenze è anche grazie alla cosiddetta ritualizzazione dello scontro, che comunque non infrequentemente ha luogo. Si può offrire in proposito il classico esempio del lupo che offre la carotide all'avversario per segnalargli che si dichiara sconfitto, azione che pone fine alla lotta prima che essa abbia conseguenze esiziali per il perdente. Per l'uomo questo non accade a livello di filtri biologici e anche dal punto di vista culturale si sono fatti molti passi avanti per un ulteriore approfondimento della spietatezza dell'aggressività intraspecifica con l'introduzione dell'uso di armi come l'amigdala o le freccie, fino ad arrivare alle armi da fuoco e quelle nucleari, che, ognuna ad un livello diverso, rendono più difficile il riconoscimento nell'avversario di una comune appartenenza alla stessa specie. Tuttavia, ciò che la stessa cultura ha originato e accentuato potrebbe anche mitigare con la creazione di un filtro culturale: venenum contra venenum. Venendo finalmente al contenuto richiamato nel titolo del post (sia il lettore sufficientemente mite dal non reagire bellicosamente all'insidia da me tesa nel mascheramento dell'oggetto del presente scritto! Dovevo agire così perchè egli non fosse scoraggiato alla lettura), una manifestazione come i Giochi olimpici non sarebbe nient'altro che un tentativo di ritualizzare i conflitti e non a caso si legge nei manuali di storia che essi, nell'antica Grecia, erano capaci anche di interromepre le guerre. Del resto non mancano in essi la lotta tra le nazioni, la volontà di prevalere e umiliare l'avversario, che non si ferma nel momento in cui è una prima volta soddisfatta ma che è fisiologicamente ulteriormente stimolata da una prima vittoria, la divina mania propria di ogni guerra, il ricorso a stratagemmi di ogni genere per il raggiungimento dell'obiettivo, il rinsaldamento dei vincoli all'interno dei popoli in lotta. E non si trascuri il seguente fatto, cioè che il carattere di ritualizzazione del conflitto sarebbe chiaro anche nella sempre più massiccia presenza di bambini nell'ambito delle cerimonie inaugurali e di chiusura di questi grandi eventi sportivi: presso molti popoli le ambasciate di guerra sono accompagnate da bambini, che dovrebbero mitigare l'aggressività dei contendenti.
Naturalmente, è quasi ozioso segnalarlo, l'efficacia di questa ritualizzazione dei conflitti è per lo meno dubbia. Se fosse vero che presso i Greci i giochi olimpici arrestavano le guerre, oggi si potrebbe dire che succede l'opposto: vi danno inizio.

sabato 9 agosto 2008

Ancora qualche parola sul corpo malato

Quale fondamentale particolare mi era sfuggito sulla malattia del corpo del nostro sciagurato Paese, per il quale tuttavia, come potete leggere, mi ostino ancora a fare un uso dell'iniziale maiuscola che potrebbe ormai definirsi spregiudicato! Ecco presto offerto un ulteriore motivo che giustificherebbe l'impiego della minuscola rispetto a quelli già messi in evidenza nel precedente post: un organismo in buona salute è in grado di opporre adeguata resistenza ai morbi che lo attaccano anche sviluppando gli anticorpi che meglio lo proteggono nel caso di un nuovo analogo attacco della malattia. L'Italia è stata infettata quattordici anni fa dalla berlusconite, da una forma politica, il libertismo, che vorrebbe scimmiottare il liberismo dallo spirito più animale ma che tende soprattutto a dare espressione ad una tipologia tradizionalmente italiana di anarchismo senza anarchici, di uomini d'autorità senza autorevolezza, che si sta rivelando il miglior pane per profittatori di ogni genere: politico, finanziario e culturale. L'attacco dei parassiti corrode ogni parte del corpo e anche in virtù di questo simultaneo decadimento di ognuna di esso il tutto fatica a percepire il generale stato di infermità. Tuttavia, come spesso accade nel decorso di una malattia, si possono verificare dei momenti di pausa in cui si possono ricuperare le forze e in effetti la berlusconite è stata apparentemente interrotta anche a lungo, ma invano. Il Paese non ha sviluppato gli anticorpi: l'elettorato non ha compreso di essersi illuso e anzi il morbo ha fatto registrare una sua recrudescenza. Adesso che il berlusconismo ha vinto impadronendosi delle menti degli italiani proiettando in esse l'immagine dello statista Berlusconi, ritenuto ieri, per lo più, "solo" uomo della Provvidenza (o, per Baget Bozzo, dello Spirito Santo) e oggi anche vero, esperto e consumato politico si può ben dire: la nostra storia recente non ha insegnato nulla agli italiani, i quali non sanno di vivere in un Paese moribondo. Dobbiamo recriminare anche per il fatto che non ci troviamo in uno di quei casi frequenti in cui, in presenza di malattie gravi, il sintomo fa la sua comparsa quando è troppo tardi per un'efficace strategia terapeutica; la sintomatologia sarebbe ormai chiara e varia da tempo, benché gli italiani non se ne siano accorti: ci sarebbe stato tempo a sufficenza per un'azione curativa. Eppure, tragicamente quanto grottescamente, non si è consapevoli dello stato morboso neppure nel suo stadio terminale: un Saccà qualunque può difendere il suo protettore dichiarando che la raccomandazione la concedono tutti e ancor prima che il suo lenone di fiducia non è solito raccomandare solo donne. Il male non esiste: tutto è bene. Viviamo in un Paese che non rinnova i propri tessuti e che in certi momenti è preda di una strana euforia pre mortem (il finto accanimento dei dibattiti dei salotti televisivi) accompagnata da più lunghi intervalli di coma.
Almeno in genere non si deridono i moribondi, invece l'Italia è oggetto della derisione dei suoi parenti (gli europei) e disprezzata dagli estranei (in testa gli americani). Che sia già carogna?