L'iperbole si è fatta metafora: ciò che in tempi dignitosi era una tantum oggi è sempre e contro ogni necessità. Non si può più percepire alcuna esagerazione, piuttosto un'abitudine meccanica che vale come habitus inestirpabile quanto dannoso. Lo spirito carnascialesco pervade ogni dì della nostra esistenza, tentando così di respingere gli assalti del senso tragico, tuttavia non fa che elevare un baluardo di misera farsa: la commedia, ancor meno quella divina, è cosa assai lontana a vedersi. Il risultato più evidente è un miscuglio di mestizia, mancato controllo delle emozioni, assenza di scopi e scellerataggine senza freni, vale a dire ciò che di più significativo offre la festa del carnevale da qualche tempo a questa parte. I partecipanti avvertono il dovere di stare allegri, ma, tenendo il sentimento dell'allegria dietro al pensiero fisso e determinato di qualcosa, finiscono essi per perdere sin da subito la spensieratezza che converrebbe a chi dovrebbe abbandonarsi alla gioia. Quali uomini infelici coloro che si riprometteno di far baldoria prima della Quaresima! Si illudono di annegare nello stordimento del non senso le cause, peraltro tutte legittime e fondate, della loro tristezza e invece preparano a loro stessi un rimedio peggiore del male contro cui si vorrebbe combattere. Alla chiusura dei festeggiamenti è tutto un agitarsi di sensazioni di delusione, sempre sicura e generosa conseguenza di aspettative smisurate, irrequietezza e senso di panico, tipico di colui che nel buio ha perso la fioca luce dell'ultima lanterna che per un attimo ne aveva illuminato l'andare a tentoni.
Di vere maschere non si parla affatto, giacchè nessuno ha il coraggio di mettersi una maschera per coprire la propria bella faccia e ancor più il proprio animo sempre sospeso sul ciglio di un abisso di abiezione senza ritorno. Così, se è vero che non si dà persona che non sia maschera, si arguisce subito che a carnevale non si avvista neanche alla lontana una persona.
Qualcuno si ostina ancora a vedere nel carnevale la riemersione del dionisiaco o il ribaltamento della quotidianità ma quando la farsa segna ogni momento della vita sociale e la sfrenatezza si offre come il ritmo monocorde di un agire insensato e senza riguardi per nessuno, neanche per se stessi, e non rivolto ad una percezione globale e anindividualistica dell'esistenza ma piuttosto l'ultimo ed estremo tentativo di soffocare l'esistenza dell'altro allora non vi è posto per Dioniso o per rovesciamenti del mondo. Entrambi, del resto, non possono che cozzare con il bieco conformismo cui è asservito l'animo di coloro che festeggiano il carnevale dei tempi odierni: qualora il malcapitato di turno, tratto a forza nei festeggiamenti non di rado da amici o conoscenti infidi, si trovi nel turbinio dello stordimento non può sottrarsi ad esso ergendosi a spettatore disinteressato perchè insidiose figure, talvolta di uomo tal'altra di donna, lo costringono a concedersi al ballo o ad altre analoghe attività all'apparenza festose. Egli viene tacciato del crimine ritenuto più ripugnante: non volersi divertire. Non si concede spazio negli intelletti di quei festaioli all'ipotesi che sia più eccitante trovare trastullo con modalità altre. Che spasso agitare gli arti e magari anche il busto assecondando le melodie più eleganti diffuse da portentosi impianti stereofonici e il cui testo (qualora non indegno sia adoperare questo termine per l'insieme incoerente delle parole giustapposte alla musica in questione) costituisce qualcosa di più di un esplicito bombardamento subliminale a che si giaccia in coppia o in gruppo, il che , in quest'ultima soluzione, farebbe ancora più allegria! Ma niente paura! In queste circostanze si parte da propositi bellicosi, lo dico all'insegna dell'indissolubile coppia Ares- Afrodite, per non addivinire a niente: tutti hanno più paura del solito dell'altro e dell'altra. Si concepiscono più pargoli durante le giornate mondiali della proba gioventù cattolica. Ma per non discostarci molto dal tema sessuale, quale errore sarebbe sottovalutare l'emersione del prepotente desiderio maschile di indossare abiti femminili? A frotte non si fa che attendere il carnevale per potersi travestire da donne, per lo più nelle vesti di figure femminili quanto mai licenziose.
Ad ogni modo è giunta la Quaresima e la farsa torna ad essere, seppur di poco, meno intollerabile: chi non ha mai dovuto capitolare di fronte alle imposizioni materne i venerdì che precedono la santa Pasqua, quando ci si vede costretti a mangiar pesce piuttosto che carne e, fatto più grottesco che mai, in risposta alle proprie stringenti argomentazioni contro questa pratica penitenziale priva di senso ci si deve sentir obiettare che è peggio per noi se non vogliamo farci una bella mangiata di pesce? In verità, in verità, vi dico: la gente non vuol far mai autentica penitenza tanto quanto non vuole concedersi all'autentico divertimento.
Di vere maschere non si parla affatto, giacchè nessuno ha il coraggio di mettersi una maschera per coprire la propria bella faccia e ancor più il proprio animo sempre sospeso sul ciglio di un abisso di abiezione senza ritorno. Così, se è vero che non si dà persona che non sia maschera, si arguisce subito che a carnevale non si avvista neanche alla lontana una persona.
Qualcuno si ostina ancora a vedere nel carnevale la riemersione del dionisiaco o il ribaltamento della quotidianità ma quando la farsa segna ogni momento della vita sociale e la sfrenatezza si offre come il ritmo monocorde di un agire insensato e senza riguardi per nessuno, neanche per se stessi, e non rivolto ad una percezione globale e anindividualistica dell'esistenza ma piuttosto l'ultimo ed estremo tentativo di soffocare l'esistenza dell'altro allora non vi è posto per Dioniso o per rovesciamenti del mondo. Entrambi, del resto, non possono che cozzare con il bieco conformismo cui è asservito l'animo di coloro che festeggiano il carnevale dei tempi odierni: qualora il malcapitato di turno, tratto a forza nei festeggiamenti non di rado da amici o conoscenti infidi, si trovi nel turbinio dello stordimento non può sottrarsi ad esso ergendosi a spettatore disinteressato perchè insidiose figure, talvolta di uomo tal'altra di donna, lo costringono a concedersi al ballo o ad altre analoghe attività all'apparenza festose. Egli viene tacciato del crimine ritenuto più ripugnante: non volersi divertire. Non si concede spazio negli intelletti di quei festaioli all'ipotesi che sia più eccitante trovare trastullo con modalità altre. Che spasso agitare gli arti e magari anche il busto assecondando le melodie più eleganti diffuse da portentosi impianti stereofonici e il cui testo (qualora non indegno sia adoperare questo termine per l'insieme incoerente delle parole giustapposte alla musica in questione) costituisce qualcosa di più di un esplicito bombardamento subliminale a che si giaccia in coppia o in gruppo, il che , in quest'ultima soluzione, farebbe ancora più allegria! Ma niente paura! In queste circostanze si parte da propositi bellicosi, lo dico all'insegna dell'indissolubile coppia Ares- Afrodite, per non addivinire a niente: tutti hanno più paura del solito dell'altro e dell'altra. Si concepiscono più pargoli durante le giornate mondiali della proba gioventù cattolica. Ma per non discostarci molto dal tema sessuale, quale errore sarebbe sottovalutare l'emersione del prepotente desiderio maschile di indossare abiti femminili? A frotte non si fa che attendere il carnevale per potersi travestire da donne, per lo più nelle vesti di figure femminili quanto mai licenziose.
Ad ogni modo è giunta la Quaresima e la farsa torna ad essere, seppur di poco, meno intollerabile: chi non ha mai dovuto capitolare di fronte alle imposizioni materne i venerdì che precedono la santa Pasqua, quando ci si vede costretti a mangiar pesce piuttosto che carne e, fatto più grottesco che mai, in risposta alle proprie stringenti argomentazioni contro questa pratica penitenziale priva di senso ci si deve sentir obiettare che è peggio per noi se non vogliamo farci una bella mangiata di pesce? In verità, in verità, vi dico: la gente non vuol far mai autentica penitenza tanto quanto non vuole concedersi all'autentico divertimento.