domenica 5 luglio 2009

Contra amicitiam

Amicitiam nisi inter malos esse non posse. Espresso l'assioma, tutto ciò che ne consegue è un descensus ad infimi. Ai protagonisti dell'amicizia, ovvero a coloro che stipulano quel contratto contraddistinto dalla particolarità di consistere nella vendita di colui stesso che lo stipula, dovrebbe essere sempre concesso magnanimo il perdono, così come va fatto con coloro che non sanno quel che fanno. Sì, l'amicizia è cosa spregevole assai e, più ancora, irritante, chè a disprezzarla le si conferisce un'importanza immeritata, ma non si può serbare rancore contro coloro che si fanno irretire da essa perchè questa caduta nell'insidia è quasi sempre frutto non di deliberata sentenza ma piuttosto dell'inerme quanto inconsapevole ondeggiare tra una sponda e l'altra, naturalmente una migliore dell'altra, in cerca di qualcosa che illuda di non star giocando da soli ad esser vivi. Da tale necessitato e inconsapevole andar per flutti discende l'illegittimità di ogni duro rimprovero in direzione di chi contrae amicizia, di qualsiasi legame essa si sostanzi e qualsiasi oggetto essa abbia. Si accetta quel che si trova e si convince se stessi che si è trovato un tesoro, neanche se si fosse trafugato quello del tempio, azione che fuor di metafora costuituirebbe comunque atto più pregevole, se non altro perchè segno di schietta empietà, che, è inutile dirlo, un amico di una qualsiasi risma non sarebbe in grado di compiere perchè alieno da ogni purezza e chiara distinzione. L'amico è sempre compromesso con qualcuno o qualcosa e non conosce sentimenti definiti; egli ha un legame, vincoli e relazioni che ne inquinano l'animo e lo scaraventano in un abisso di indistinzione spirituale. Guai a definirsi e a sporgersi su quel baratro offerto dallo spaventevole principio di individuazione: l'amico ama il branco, per fortuna ordinariamente costituito da mammiferi. Tuttavia talvolta accade che esso sia costituito da forme protozoiche, sebbene possano ingannare le dimensioni volumetriche di taluni soggetti in questione. Iersera, a puro titolo d'esempio e solo per offrire una gustosa digressione rispetto al nostro rigoroso impianto argomentativo, circondato da buone conoscenze (nel senso che ne conosco a dovere la miseranda attitutidine a contrarre il morbo di cui finora si è discettato), ho dovuto affrontare un esemplare che nonostante il volume, a voler avere riguardo per quell'oziosa attività intellettuale che è la tassonomia, si attestava filogeneticamente ad uno sviluppo biologico avente tutti i caratteri del protozoo. Sono stato al cospetto del prototipo archetipico dell'amica in cerca di amicizie e che a tale scopo esordisce nella sua presentazione cercando in maniera pretestuosa superfici di contatto tra lei e lo sciagurato altro, forse perfino nel tentativo, certamente vano quanto insolente, di trovare spazi di sovrapponibilità dei distinti piani su cui quelle superfici giacciono. Se poi un degno dis-amico come il sottoscritto, a quanto pare l'unico in questa regione della galassia a tenere in adeguato pregio l'ostilità e lo sprezzo per l'uguale o meglio per quello che nell'amicizia si vorrebbe uguagliare, si mette in capo di rispondere per le rime a colei che ha l'ardire di difendere un vecchio amico dalle accuse mossegli da quello che sarebbe diventato altrimenti un nuovo amico e se costei pone mano al proprio proposito argomentando che essendo l'accusato un suo amico non è verosimile l'accusa di cui è fatto oggetto, allora ecco che l'amicizia rivela tutti i propri caratteri più esecrandi. Cosa più grave ma anche scenograficamente più attraente, in un crescendo di miserabilità tutta umana, se non fosse che l'amicizia riesce a rendere gli umani qualcosa d'altro e di più ignobile, tanto più che regala la sensazione di elevare chi si prostra al suo indegno altare, sicuramente non buono per gli empi quanto lo è invece per sciatti fornicatori da sagrestia, l'amica cerca di difendere l'amico e con lui se stessa, prima offrendo il tipico sorriso poco sorvegliato per celare all'avversario dialettico di trovarsi in difficoltà, poi querulando di non aver avuto la possibilità di controbattere e infine ricorrendo all'evitamento positivo: la fuga, l'unica cosa intelligente che potesse mettere in opera. Ingrata, forse sarà stata incalzata dal disamico in maniera retoricamente troppo efficace e sicuramente insostenibile per le sua dotazione cerebrale e la sua costituzione pulsionale, ma se questo è successo è perchè le si voleva impedire di rendersi ulteriormente ridicola con pseudoargomenti analoghi a quelli spumeggiantemente già offerti.
Un cenno merita anche l'amica dell'amica, sentitasi in dovere di prendere le parti del protozoo carenato: naturalmente, nonostante la pur ammessa legittimità delle accuse del disamico, questi non aveva alcun diritto di lagnarsi, a tal punto che solo con sufficienza ha dichiarato che evidentemente ciò che gli era successo con l'amico dell'amica l'aveva toccato molto. A ciò si aggiungano i rimbrotti sulla presunta mancanza di signorilità e di virilità del disamico, accuse che da soggetti provenienti da determinati ambiti culturali ci si deve aspettare con buona disposizione d'animo: subisci, taci e sarai un signore; se poi osi stigmatizzare errori sintattici compiuti da chi esordisce con la dichiarazione di appartenenza ad una specifica scuola sei proprio abietto; all'amicizia e alle sue vittime tutto è dato connettere fuorchè gli elementi del discorso.
E che dire delle "buone conoscenze"? Il Polimoenus, venale e non prodigo com'è, ha colto la palla al balzo per ritenere estinto il debito della pizza da offrire perchè il disamico aveva creato scompiglio e solo perchè pietosamente implorato si degnava di ordinare una bottiglietta d'acqua per il disamico, poi però parzialmente tracannata da lui stesso come del resto è aduso fare quando offre qualcosa ad amici, parenti e contendenti; il Tempio invece gridava a pieni polmoni che lui, vereconda verginella che sa guardare solo di sottecchi tanto è pudica, non si era mai sentito così in imbarazzo in vita sua quanto in quei momenti di furente contesa tra il disamico e l'amica. Tuttavia il migliore prototipo di amico tra tutti quelli iersera presenti e quindi, come è vezzo dell'interessato stesso dire, il peggiore è l'innominabile miserabile che non rinuncia a nessuna amicizia. Egli è più di un singolo (non parliamo di individui viste le premesse esposte sopra in merito alla figura teoreticamente intesa dell'amico): è il popolo tutto che tra l'inerme e l'aguzzino, tra Cristo e Barabba, tra Trovato e il parcheggiatore sceglie sempre il secondo termine della coppia. Egli è colui che non rinuncia a prendere le parti di donzelle indifese, soprattutto quando queste sembrano disposte a concedere i loro favori e quantunque (sempre per avere il giusto riguardo per la tassonomia biologica) siano ascrivibili alla sottofamiglia dei bovini (in ispecie vacche e vaccazze) purchè siano le miss del tavolo o talvolta della sezione del tavolo in cui egli siede: tanto estesi sono i confini del suo sguardo, della sua estetica, quindi della sua teoretica (non parliamo di etica perchè gli è ignota la distinzione tra giusto e ingiusto, da lui saviamente sostituita da quella tra pubblico e privato) che essi sono ben lungi dall'abbracciare l'orbe terracqueo, così come invece si confarebbe ad un disamico, che se è capace anche di disprezzare è perchè il suo sguardo si posa in maniera globale su più punti, talvolta perfino di piani diversi dello spazio umano. Con il prototipo dell'amico vana è ogni lamentela: il sempre sospirar nulla rileva. Vana è la speranza che il sacerdote entusiasta (1) di una trista religione similfacebookiana ponga mente ad un mutamento di orizzonte spirituale.
Quale allora il destino per questa inquieta e inquietante, non di rado molesta figura dell'epoca contemporanea costituita dal disamico? Accerchiato dagli amici, in potenza e in atto, così come in effetto e in difetto, si vede costretto ad incedere come un angelo collerico con le spade incrociate per aprirsi il passo anche tra le buone conoscenze. Quale la sua escatologia? Forse che sia raggiungibile quello stadio definito di animicizia, in cui il disamico depone le armi ormai consapevole, oltre che con l'intelletto anche con il cuore (inteso in nessun'altra maniera che quale somma di due ventricoli e due atri), che l'umanità costituisce degno oggetto di attenzione etologica poco più che il verme ma molto meno del passero (2)?
(1) Vale a dire etimologicamente "divinamente ispirato".
(2) Nessuno avrà capito che il riferimento al verme e al passero è dovuto alla loro esistenza solitaria, di cui l'amico stoltamente non vuole sapere nulla, ma non fa nulla.