Non è da escludersi che il lettore più avventato veda nel titolo che non mi sono peritato di dare al presente post il superficiale quanto triviale tentativo di svilire i sacri valori custoditi dalla festa del Natale con il loro accostamento a qualcosa di ritenuto impuro; tuttavia si vedrà presto quanto questo giudizio sia ingeneroso prima di tutto verso il prudente autore cui fate l'onore di leggere le sue povere riflessioni e poi anche verso la vostra intelligenza (non so perchè ma così è).
Mi spiego. Così come il Natale celebra l'incontro dell'Essere con il Divenire, la sessualità, nel modo in cui cercheremo di intenderla qui, vuole permettere l'incontro dell'Essere con il Divenire. Naturalmente, se preliminarmente si è voluto tirare in gioco l'analogia di fondo di questo duplice incontro, adesso si dovrà pur proiettare sotto la più chiara luce il fatto fondamentale, ancora una volta duplice: mentre nella mangiatoia alla periferia dell'Impero è l'Essere che irrompe nel Divenire sottoponendolo ad una piegatura e financo spezzandolo definitivamente in due, nel dominio della sessualità il Divenire imprime il proprio carattere all'Essere, operazione che, va da sè, non può tuttavia avere un carattere definitivo, storico e tanto meno eterno. Ma ciò agli spiriti autenticamente filosofici, credo, basterà e donerà ogni gioia umanamente possibile.
Entriamo nel merito della questione. Oggi si fa tanto vanto nei paesi occidentali di un'ampia diffusione della libertà sessuale. Niente di più efficace per continuare a tenere sotto controllo i sani spiriti animali dell'uomo, che piuttosto vengono stornati per essere impiegati sui campi di battaglia, nella feroce concorrenza economica e nell'eterno agone per il successo sociale. La struttura patriarcale, fondata, in Occidente, sulla monogamia, permane pressocchè immutata; l'elevazione dell'adulterio a pratica quasi legittima non comporta un serio spostamento dei termini della questione; tutt'al più funge da sintomo. Analogamente, l'anarchia sessuale delle giovani generazioni non rende la nostra specie più intelligente e, nutriamo il più che solido sospetto, neanche meno infelice. Probabilmente l'effetto maggiormente degno di nota di tali comportamenti che si autodefiniscono "liberi" è solo lo slegamento della passione fisica dal sentimento. Un nuovo idealismo da una parte, un pernicioso dualismo dall'altra, animano questa novella ma già stanca umanità: il corpo e i suoi affari non sono faccende per il supposto spirito e i suoi sentimenti. Niente va contro il più superficiale commercio dei corpi e il contemporaneo adolescenziale desiderio di incontrare l'amore eterno e come in ogni buon dualismo che si rispetti, a difesa dell'impianto teoretico e della morale che gli conferisce significato e utilità, va cercata la buon vecchia ghiandola pineale. Facile oggi a trovarsi: il modello televisivo-cinematografico che le due parti eterogenee tiene insieme e la cui ardita composizione giustifica e incentiva. E lo stesso idealismo fa la sua parte: a dispetto di un'apparenza che vorrebbe far assumere alla carnalità del rapporto sempre maggiore normalità, oggi il corpo è visto come qualcosa di distante e quasi da non toccare. All'uscita da una discoteca o durante una festa non ci si conosce, non si conosce il corpo dell'altro e pur dandosi al sesso non si dà la benchè minima intenzione di conoscerlo. Gli occhi del partner rimangono ignoti, così come le mani che frugano curiose ma in preda al più terribile timore: il corpo appare tutto nei genitali; è lì solo che si mostra, spesso senza neanche concedersi all'occhio: si fa idea più che cosa.
Ma se affermiamo che questo modello di esistenza non funziona, non possiamo forse tentare di trovarne un altro? Perchè degli aristocratici dell'esistenza non prendono in mano la loro vita e, invece che limitare le gioie che provengono dalla sessualità o, su un fronte opposto e quindi speculare, disintegrarle in azioni che ne sviliscono il valore, non dimostrano che è possibile moltiplicare quelle occasioni di piacere, gaudio e seppur momentanea felicità? Non è forse possibile arricchire la propria altrimenti spesso infelice esistenza dedicandosi senza posa a relazioni amorose con più donne, con più uomini e perfino con più esponenti dei due sessi qualora il proprio istinto lo suggerisca? Intendiamo dire, non sarebbe legittimo e tecnicamente possibile per questa aristocrazia dell'esistenza amare più simili sulla base di un amore ogni volta diverso come ogn'ora sempre diversamente foggiata dal Divenire è la nostra presunta individualità? Non sarebbe allora il nostro io finalmente più libero di offrirsi alla necessità? A quella necessità dell'istinto che non ammette rigide limitazioni se non al prezzo di una perdita di vigore psichico? Quale scandalo costituirebbe tutto questo? Non viene forse predicata da millenni una dottrina dell'amore universale? Non dovrebbe ingenerare maggior scandolo questa piuttosto che quella di un amore tra più persone ma pur sempre tra meno che tra l'universalità tutta di questa nostra sciagurata stirpe? Allora forse a quei pochi fortunati l'amplessso non sarebbe più concesso per una consuetudine del fine settimana o della noia coniugale; l'abbraccio tra due umani non costituirebbe più qualcosa di simile a quanto si verifica tra due pugili che si cingono con le braccia per evitare i colpi dell'avversario: assumerebbe la forma di un avvicinamento autentico, foss'anche timido e prudente, tra due forme di vita che vogliono sfuggire al dolore, alla noia e al non senso; i presunti amanti avrebbero meno da temere dall'altro perchè l'amore perderebbe buona parte del proprio carattere di campo di battaglia in cui conquidere un'anima in maniera esclusiva e anche definitiva, benchè spesso si abbia la vaga consapevolezza che si tratti della definitività del momento, che pur sempre definitività è. Sottrarre all'amore il suo carattere egoistico: ecco la debolezza della nostra umile proposta che quasi cede il campo alla stolida utopia. Tentare ed esplorare nuovi territori, però, non è iniziativa da scartare. Non pretendere il cosmo dall'amato segnerebbe il primo passo, vederlo nell'insieme di tali auspicate molteplici relazioni amorose costituirebbe il secondo. La fissità dell'esistenza lascerebbe il posto ad un ritmo musicale sempre vario; la monoliticità della vita si scioglierebbe nella levità di un continuo fluire che non risparmia neanche un presunto e surrettizio io osservativo e che si dà la pena di cercare il godimento. In un gioco di specchi quegli aristocratici potrebbero cercare di vedere se stessi nella loro essenza più vera: il loro corpo, che è il corpo degli altri che amano e da cui sono riamati.
Mi spiego. Così come il Natale celebra l'incontro dell'Essere con il Divenire, la sessualità, nel modo in cui cercheremo di intenderla qui, vuole permettere l'incontro dell'Essere con il Divenire. Naturalmente, se preliminarmente si è voluto tirare in gioco l'analogia di fondo di questo duplice incontro, adesso si dovrà pur proiettare sotto la più chiara luce il fatto fondamentale, ancora una volta duplice: mentre nella mangiatoia alla periferia dell'Impero è l'Essere che irrompe nel Divenire sottoponendolo ad una piegatura e financo spezzandolo definitivamente in due, nel dominio della sessualità il Divenire imprime il proprio carattere all'Essere, operazione che, va da sè, non può tuttavia avere un carattere definitivo, storico e tanto meno eterno. Ma ciò agli spiriti autenticamente filosofici, credo, basterà e donerà ogni gioia umanamente possibile.
Entriamo nel merito della questione. Oggi si fa tanto vanto nei paesi occidentali di un'ampia diffusione della libertà sessuale. Niente di più efficace per continuare a tenere sotto controllo i sani spiriti animali dell'uomo, che piuttosto vengono stornati per essere impiegati sui campi di battaglia, nella feroce concorrenza economica e nell'eterno agone per il successo sociale. La struttura patriarcale, fondata, in Occidente, sulla monogamia, permane pressocchè immutata; l'elevazione dell'adulterio a pratica quasi legittima non comporta un serio spostamento dei termini della questione; tutt'al più funge da sintomo. Analogamente, l'anarchia sessuale delle giovani generazioni non rende la nostra specie più intelligente e, nutriamo il più che solido sospetto, neanche meno infelice. Probabilmente l'effetto maggiormente degno di nota di tali comportamenti che si autodefiniscono "liberi" è solo lo slegamento della passione fisica dal sentimento. Un nuovo idealismo da una parte, un pernicioso dualismo dall'altra, animano questa novella ma già stanca umanità: il corpo e i suoi affari non sono faccende per il supposto spirito e i suoi sentimenti. Niente va contro il più superficiale commercio dei corpi e il contemporaneo adolescenziale desiderio di incontrare l'amore eterno e come in ogni buon dualismo che si rispetti, a difesa dell'impianto teoretico e della morale che gli conferisce significato e utilità, va cercata la buon vecchia ghiandola pineale. Facile oggi a trovarsi: il modello televisivo-cinematografico che le due parti eterogenee tiene insieme e la cui ardita composizione giustifica e incentiva. E lo stesso idealismo fa la sua parte: a dispetto di un'apparenza che vorrebbe far assumere alla carnalità del rapporto sempre maggiore normalità, oggi il corpo è visto come qualcosa di distante e quasi da non toccare. All'uscita da una discoteca o durante una festa non ci si conosce, non si conosce il corpo dell'altro e pur dandosi al sesso non si dà la benchè minima intenzione di conoscerlo. Gli occhi del partner rimangono ignoti, così come le mani che frugano curiose ma in preda al più terribile timore: il corpo appare tutto nei genitali; è lì solo che si mostra, spesso senza neanche concedersi all'occhio: si fa idea più che cosa.
Ma se affermiamo che questo modello di esistenza non funziona, non possiamo forse tentare di trovarne un altro? Perchè degli aristocratici dell'esistenza non prendono in mano la loro vita e, invece che limitare le gioie che provengono dalla sessualità o, su un fronte opposto e quindi speculare, disintegrarle in azioni che ne sviliscono il valore, non dimostrano che è possibile moltiplicare quelle occasioni di piacere, gaudio e seppur momentanea felicità? Non è forse possibile arricchire la propria altrimenti spesso infelice esistenza dedicandosi senza posa a relazioni amorose con più donne, con più uomini e perfino con più esponenti dei due sessi qualora il proprio istinto lo suggerisca? Intendiamo dire, non sarebbe legittimo e tecnicamente possibile per questa aristocrazia dell'esistenza amare più simili sulla base di un amore ogni volta diverso come ogn'ora sempre diversamente foggiata dal Divenire è la nostra presunta individualità? Non sarebbe allora il nostro io finalmente più libero di offrirsi alla necessità? A quella necessità dell'istinto che non ammette rigide limitazioni se non al prezzo di una perdita di vigore psichico? Quale scandalo costituirebbe tutto questo? Non viene forse predicata da millenni una dottrina dell'amore universale? Non dovrebbe ingenerare maggior scandolo questa piuttosto che quella di un amore tra più persone ma pur sempre tra meno che tra l'universalità tutta di questa nostra sciagurata stirpe? Allora forse a quei pochi fortunati l'amplessso non sarebbe più concesso per una consuetudine del fine settimana o della noia coniugale; l'abbraccio tra due umani non costituirebbe più qualcosa di simile a quanto si verifica tra due pugili che si cingono con le braccia per evitare i colpi dell'avversario: assumerebbe la forma di un avvicinamento autentico, foss'anche timido e prudente, tra due forme di vita che vogliono sfuggire al dolore, alla noia e al non senso; i presunti amanti avrebbero meno da temere dall'altro perchè l'amore perderebbe buona parte del proprio carattere di campo di battaglia in cui conquidere un'anima in maniera esclusiva e anche definitiva, benchè spesso si abbia la vaga consapevolezza che si tratti della definitività del momento, che pur sempre definitività è. Sottrarre all'amore il suo carattere egoistico: ecco la debolezza della nostra umile proposta che quasi cede il campo alla stolida utopia. Tentare ed esplorare nuovi territori, però, non è iniziativa da scartare. Non pretendere il cosmo dall'amato segnerebbe il primo passo, vederlo nell'insieme di tali auspicate molteplici relazioni amorose costituirebbe il secondo. La fissità dell'esistenza lascerebbe il posto ad un ritmo musicale sempre vario; la monoliticità della vita si scioglierebbe nella levità di un continuo fluire che non risparmia neanche un presunto e surrettizio io osservativo e che si dà la pena di cercare il godimento. In un gioco di specchi quegli aristocratici potrebbero cercare di vedere se stessi nella loro essenza più vera: il loro corpo, che è il corpo degli altri che amano e da cui sono riamati.