domenica 29 marzo 2009

L'anno compiuto

Il compleanno è occasione, poco importa di cosa, molto più rileva per che cosa. I festeggiamenti relativi al compimento dell'anno sono pressocchè universalmente diffusi nel cosiddetto dominio della civilizzazione ma il loro significato rimane nascosto a coloro che si danno da fare per festeggiare. E si danno da fare sul serio, giacchè di impegno si tratta, benchè l'elemento d'automa non manchi quasi mai. Si sarebbe anche tentati di affermare più benevolmente che piuttosto che di qualcosa di automatico, cioè di naturale decaduto a meccanico, si tratti di qualcosa di cosmologicamente ritornante, come la descrizione, appunto anche annuale, delle orbite degli astri, ma purtroppo è allora che una saggia e impietosa lucidità interviene per restaurare i vecchi proponimenti: non si elevi al piano universale ciò che riguarda il più misero particolare. L'universo ha ben poco a che fare con le ridicole vicende dell'individuo, sia esso anche un pianeta, pensiamo un piccolo impasto di carbonio e acqua impura. Cionondimeno questi urla per farsi sentire: è nato e non è ancora passato sotto il dominio dei vermi. Il suo più franco desiderio è quello di allontanare il più possibile da sè la soglia del trapasso e tuttavia festeggia se un anno è già trascorso. Non esiste uomo retto; retto sarebbe quell'uomo che guardasse dritto davanti a sè, senza fermarsi alla stazione annuale e sereno di fronte al suo destino mortale si abbandonasse ad esso senza precipitarvisi, ma nel tentativo di far retto quest'essere si rischia di vederlo spezzato.
Ma come festeggia nella nostra porzione di mondo colui che in verità non avrebbe nulla da festeggiare, perchè sebbene voglia egli rallegrarsi non di aver visto trascorrere un anno bensì di essere sopravvissuto ad esso gli sfugge che ad un sopravvissuto è più adatto il tirare un sospiro di sollievo e non la baldoria? Come accennavamo prima, da automa. Il canovaccio è sempre lo stesso: ci si ingozza con roba immangiabile nella quotidianità benignamente illuminata dalla lucidità, si beve robaccia perchè così impone l'augurio, si sosta di fronte a dispositivi che impressionano e registrano le degne effigi di festeggiati e festeggianti (tanto oggi tocca a me ma ricordati che domani tocca pure a te) e non si riesce a fare a meno di dire le tradizionale sciocchezze del caso. Quante volte le orecchie devono sentire frasi come "esprimi un desiderio!", "sei un anno più vecchio", "sarà un anno migliore" (preso in prestito dal capodanno, ormai onnipresente nella nostra società dell'eterno incominciamento quasi quanto il carnevale)? Basterebbero queste espressioni di stupidità verbale ben fondata al livello della fisiologia cerebrale che solo per non conferire un'immeritata tragicità alla faccenda non si definirà "patologia" per comprendere quanto sciocco è l'uomo che festeggia il compimento annuale. In primo luogo si afferma chiaramente che è opportuno esprimere un desiderio (quasi si minaccia il malcapitato per convincerlo ad obbedire o gli si lascia intendere che è uno stupidotto se si lascia sfuggire l'occasione per farlo) e ci si dimentica che non c'è desiderio senza insoddisfazione, ma allora si dovrebbe trarre sicura la conclusione che non c'è molto da festeggiare. Sulla seconda frase sarebbe ozioso dire anche solo una parola di più commentandosi da sè in bocca a chi vuole prima di tutto vivere; sulla terza si dischiude un mondo di senso: come fa colui che festeggia ad individuare saccentemente una teleologia retta sul miglioramento progressivo delle vicende umane circoscritte ad una persona in particolare? Le vecchie teleologie, anche quelle religiose, avevano più dignità, considerato il fatto che almeno si scomodavano i fini per l'umanità intiera o per una sua parte considerevole; adesso invece esse collassano sull'individuo singolo. Miseranda umanità: più diventa insostenibile sul piano teoretico la nozione di individuo e più il volgo se ne appropria facendola brillare della luce caratteristica della bigiotteria. Ma tornando diligentemente al nostro discorso, perchè codesti festaioli, se sono così sicuri del fatto loro, avvertono il bisogno di sperare in un anno migliore se sono già in una condizione in cui è legittimo far festa?
La verità, o quantomeno la menzogna più vera, è che invero nessuno desidera festeggiare l'anno compiuto, dacchè il compimento di una qualsiasi cosa è anche la sua morte in una cosa nuova e il misero volgo intende tenersi lontano da essa come si guarda bene di stare in pace, ossia di non vivere come sa. Ma questo rimarrà occultato nell'esistenza del singolo per molti anni compiuti.

martedì 10 marzo 2009

Tragedia, commedia e farsa

Niente di più stolto dell'uomo, se non il padre, che ha generato il figlio. Questo e quello, comunque, se cedono al desiderio di riflettere sulla consistenza delle loro esistenze finiscono per connotare come tragica la vita. Che si indugi quanto si voglia sulla tragicità del nascere e sulla necessità del morire, cose in fin dei conti tanto simili che solo il dolore può assumersi il compito di separare, mai però per più di qualche decennio nello stesso uomo, tuttavia la veste tragica costituisce solo la nobile maschera per qualcosa di meno dignitoso. L'uomo che ostinato cerca di sfuggire all'amara verità della propria poco fastosa condizione agisce come il condottiero che butta lo scudo per lasciare il campo di battaglia per entrare nel lupanare che non dista mai più di qualche passo dal teatro della guerra. Ecco che cosa offre la realtà da cui si intende distogliere lo sguardo: un po' dietro il proscenio della rappresentazione tragica ha luogo la scena; è qui allestita la commedia. Ma non è neanche in questo luogo che si esprime la vita dell'uomo, giacchè questa può essere qui, come ancora più anteriormente sul proscenio tragico, soltanto rappresentata ma non agìta e vissuta. L'azione che sostanzia l'esistenza dell'uomo è quella che si dà nella farsa del dietro le quinte. Guerre, ingiustizie, nascite e morti, sofferenze e gioie non possono esibire alcuna valida ragione per la loro comparsa sulla scena, tanto meno sul proscenio: non sono fatte per la luce della ribalta; vivono dell'Immotivato per sè. Individuare una trama causale per conferire loro razionalità è intenzione poco retta e financo disonesta.
Per non cedere il passo all'eccessiva genericità adduco solo un paio di esempi concreti avvalendomi anche di un video su una dichiarazione di Adolf Hitler. Egli, ritenuto spesso l'emblema del male tragico, costituisce tuttavia a ben guardare un valido esempio della natura farsesca della storia. Natura meno che comica appalesata da un soltanto maldestro tentativo di comicità dell'imbianchino prestato all'oratoria politica:

Certo, gli attenti osservatori delle faccende italiane di questi anni potrebbero obiettarmi che al confronto della sciagurata situazione attuale del nostro Paese tra il '33 e il '45 del secolo scorso, in Germania, si assistette a una tragedia con tanto di opportuno finale, il suicidio del protagonista, mentre da noi un comico da osteria sproloquia indefesso e indisturbato mentre la resistenza civile è affare dei comici di professione, ma tutto ciò non fa che confermare che siamo al rovesciamento farsesco proposto dai tempi nel Paese dalle tradizioni più avanguardiste e sperimentali al mondo. In fin dei conti il cabarettista da birreria ebbe come capocomico un italiano. Del resto la supposta tragicità del Reich tedesco ne risulterebbe immiserita se solo si pensasse che un regime militare come quello nazista veniva dominato da un semplice caporale. La guerra venne diretta da un caporale: questo potette vantare il secolo che si ritenne più accentuatamente tragico. Rimane il fatto che, in passato come oggi, la situazione italiana funge da lente di ingrandimento per la comprensione dell'umanità planetaria: sotto la sua luce tutto è più chiaro.
Proposto l'esempio precedente forse non stupirà neanche la seguente argomentazione. Come non avvedersi della sostanza farsesca, non tragica e neppure comica, dell'esistenza umana quando non la natura infligge un duro colpo all'esistenza dell'uomo, bensì un altro uomo compie il cosidetto male senza esserne consapevole o, cosa di gran lunga più importante, senza sentire, senza avere percezione emotiva di ciò che compie? Nello stupro la vita di una persona viene distrutta, eradicata, eppure nell'animo dello stupratore solitamente non è presente la ferma volontà di annientare un'esistenza ma piuttosto si afferma in quella spregevole incoscienza l'indifferenza per la sorte dell'altro, che si rende oggetto di un gioco il cui divertimento si può presto dimenticare come ciò che di più accidentale si possa dare. Qui come in davvero pochi altri casi analoghi appare in tutta la sua evidenza la connotazione farsesca dell'esistenza. Dove è qui la lotta tra il bene e il male o tra il giusto e l'ingiusto, tra un eroe e un antieroe, appare forse un deus ex machina, si compie un'espiazione per un'azione compiuta?
No, di compiuto rimane solo il non senso.