giovedì 24 luglio 2008

Amore e morte

Non si dà nient'altro che cose; tra queste non siamo nient'altro che corpi. Le esperienze più significative che con l'esistenza si levano (sisterunt) fuori (ex) dall'indistinzione delle cose e pertanto appaiono coincidono col massimo vigore del corpo e con la sua minima forza: l'innamoramento e la morte. In quale altro momento splende più abbagliante la gloria del corpo se non nell'amplesso e dove maggiormente si concede l'evidenza della corporeità della condizione umana se non nella bara? La nostalgia per chi è scomparso trova un seppur debole rimedio nella visita al luogo della sepoltura, là dove nulla di più del corpo può essere trovato. E quando si esprime meglio la vitale ricerca del corpo da parte di un altro corpo se non nell'abbraccio degli innamorati, nella copula degli amanti da una parte e nella carezza sul viso del caro estinto dall'altra? Il reciproco incrocio degli sguardi degli amanti volto a non lasciar sfuggire nulla dell'essere corpo dell'altro fa il paio con lo sguardo rivolto al defunto da parte delle persone care o meno care prima che a loro la nuda pietra impedisca per sempre la vista di esso. Anzi, non si sottovaluti un primo segno della superiorità dell'esperienza della morte su quella dell'amore nel fatto che mentre in quest'ultima si cercano bramosi solo gli occhi di coloro che nutrono un profondo interesse l'uno per l'altro (ma non importa se si tratta anche di un amore non corrisposto) fino a volersi possedere, nell'altra invece, non di rado, si può sorprendere lo sguardo avido di colui che solo per caso o falsa buona creanza si trova nella stessa stanza del trapassato e che sembra volersi affannare alla ricerca di un ultimo godimento del corpo morto.
Non è qui in ballo la necrofilia, miei attenti lettori; forse si tratta piuttosto dell'esperienza di un mysterium tremendum che tuttavia esito ad accostare al numinoso nel timore di cedere il passo a ciò che più di ogni altra cosa opera nel velamento del significato di esso, ossia la religione. Se altro non abbiamo che un corpo, se altro non siamo che corpo, allora quale sorpresa dovrebbe destare il fatto che susciti tremore non tanto lo svelamento di questa verità, benché insisto nel ritenere che è dalla vista di un morto che si può più facilmente dedurre la nostra esclusiva corporeità, quanto il semplice incontrarsi dell'esperirsi della nostra corporeità con la corporeità del Tutto. Ed ecco qui un altro elemento che segna la superiorità, per la conoscenza, dell'esperienza della morte su quella dell'amore: quando è Eros ad agire il divenire sembra fissarsi, a dispetto della tanto proclamata vitalità sprigionata dal sentimento amoroso il flusso temporale in cui sono immersi gli innamorati subisce una riduzione all'istante nel desiderio di conservare la felicità del momento e lo spazio d'azione, quando va bene, chiude i propri confini intorno a due sole individualità; segnato il limes può avere inizio il conflitto, il miglior sintomo di una falsa vitalità. Tutt'altra situazione è quella offerta invece dalla morte: nella fissità dell'espressione del defunto, paradossalmente, si dischiude l'eternità della pace e si libera l'accesso al Tutto che ogni cosa comprende di cui abbiamo detto poche righe sopra. Non è in gioco alcuna credenza in un aldilà, ossia nessuna fiducia in una pace dell'eternità, bensì la coscienza del legame dei corpi viventi e di quelli morti, dell'indissolubilità delle cose state, stanti e che saranno. Niente di tutto questo può offrire Eros: di poco momento è l'obiezione secondo cui nell'amore si concepisce la vita futura realizzando così la continuità della specie; innanzitutto non è Eros a concepire, ma Volontà di potenza o Stoltezza, come del resto dimostra la non coincidenza della filiazione con l'amore, inoltre la specie non è il Tutto: si danno ancora corpi al di là e al di qua della specie, pertanto il suggerimento dato da Eros sull'unità del Tutto non è così valido come si potrebbe superficialmente ritenere.
Ma non lasciamoci trarre in inganno: nessuna lotta viene ingaggiata da Thanatos contro Eros, la pace non va mai contro la guerra; il conflitto è disinnescato sin dall'inizio. E' solo l'imperizia del timido autore delle povere cose che state leggendo a dar conto di superiorità e di prevalenze della morte sull'amore: queste sono nozioni che non appartengono alla natura della cosa, la morte; la quale più di ogni altra cosa si avvicina a lacerare il velo dietro cui pudica si cela la Totalità. L'esperienza di essa ci apre una finestra sul cosmo che ci pone in una visuale tanto panoramica da trascurare la virulenza delle lotte tra i corpi sino al punto di farcele percepire come espressione della naturale, ossia fisiologica, dinamica dell'attrito tra essi; e lo stesso vale per ognuno dei rappresentanti delle fazioni di corpi che si presumono in combattimento, portino pure il vessillo di Amore o di Morte.

7 commenti:

Cateno ha detto...

Eppure, come diceva Sgalambro, nell'amore avviene questo: "«quell’altro non saprà mai che lo sguardo che si posò su di lui voleva togliergli la morte. [...] In questo universo [pessimo] l’unico sorriso, l’unico sguardo di pena è per te» ((M. Sgalambro, "La conoscenza del peggio", Adelphi, Milano 2007, pagg. 68-69).

antonio ha detto...

In che senso quello sguardo mosso dall'amore potrebbe togliere la morte?

Cateno ha detto...

Non potrebbe, ma vorrebbe. Nell'istupidimento amoroso (provare per credere... prova!) si guarda l'amato/a cercando di renderlo immortale, bloccando l'istante, forse contrariamente a quanto dicevi tu (se ho ben capito), e cercando di preservarlo da ogni sofferenza.

antonio ha detto...

Cateno, ora capisco. Purtroppo io invece mi sono fatto fraintendere: quando scrivo che il divenire sembra fissarsi, che il flusso temporale in cui sono immersi gli innamorati si riduce all'istante nel tentativo di conservare la felicità del momento, intendo dire qualcosa di analogo a quanto tu proponi. La differenza tra le nostre due opinioni forse sta solo nel fatto che io parlo in maniera impersonale o ponendo per soggetto l'amore e tu invece sembri mettere al centro dell'azione amorosa l'innamorato che tende a far qualcosa per l'altro, che si prova di salvarlo da qualcosa. Pregiudizi romantici! E se volessi far volare parole grosse direi "pregiudizi cristiani"!
Ma forse l'origine del colpevole fraintendimento sta nell'equivoco di considerare l'istante fissato come qualcosa di non distinto e quindi di non opposto all'eternità dischiusa dall'esperienza della morte (chiaramente quella degli altri), vero? Ma l'istante ha poco a che fare con l'eternità, amio avviso.

Cateno ha detto...

D'accordo, Antonio, mi trovi d'accordo. E tuttavia, nella (s)mania amorosa vedo, come avrai capito dal calembour, la platonica ascesa all'idea; all'eternità senza tempo. Tempo meglio se questa eternità potrebbe trovare congiunti amore e morte, "fratelli" e generati "a un tempo stesso", come ben sai.

Cateno ha detto...

Dove c'è "tempo meglio", intendevo "tanto meglio".

antonio ha detto...

Bene bene: vedo che finalmente le sottili allusioni che percorrono i miei poveri scritti vengono colte. Mi sembrava inelegante citare; a volte occorre anche pudore ma sono lieto della tua buona vista. Forse proprio all'insegna del non citato le nostre posizioni non sono tanto distanti; del resto alla fine del post preciso che è solo l'imperizia di chi scrive che fa apparire cozzanti Amore e Morte: pur tenendo fermi gli assunti in base ai quali quei due protagonisti si presentano sotto vesti affatto diverse, non si può sottovalutare che entrambi danno voce ai corpi. Certo, possiamo trovarli insieme avvinti nell'eternità, ma come via da percorrere per accedere proprio a questa eternità, a mio avviso, è più sicura quella dell'esperienza della morte. Grazie dei commenti, mi aiutano a chiarirmi meglio le idee.