domenica 21 settembre 2008

Sul linguaggio

Si è a lungo discusso nella storia della cultura sul rapporto tra linguaggio e pensiero e talvolta assai fruttuosamente. Proviamo ora noi a dipanare l'intrico costituito da parola e concetto in maniera meno efficace. E' bene chiarirlo sin dall'inizio, si tratta di un groviglio in movimento, come tutto ciò che può vantare i caratteri di ciò che è vivo: l'attrito tra il termine e l'idea, tra il verbo e l'azione, la sostanza e il soggetto genera un cono di luce sulla faccenda del linguaggio che dà il pensiero e che al contempo da esso viene reso sensato. Un pensiero muto non viene dato e dei segni su un oggetto o una successione di suoni nell'aria non sono nulla. E' difficile stabilire che cosa possa vantare il primato su che cos'altro ma forse questo è affare per monoteisti che prestano il culto di fronte alle cause isolate e alle catene causali ad una sola direzione, a noi interessa maggiormente indicare l'intrico per sè. A questo scopo quale altra via si presenta come più sicura se non quella additata dalle fatiche della traduzione. E sì, il linguaggio umano mostra la propria vitalità nella molteplicità delle sue manifestazioni: tante lingue quanto e più sono i popoli ma sicuramente tante quanti sono i sentieri che conducono ai pensieri. Cercherò di diradare la goffa oscurità delle mie parole: come sa chi diligentemente cerca di rendere in una lingua diversa dall'originale un discorso, scritto o parlato che sia, assai di rado vi è corrispndenza perfetta tra un termine di una lingua e quello di un'altra. Permane spesso invece un residuo di intraducibilità, un esubero di pensiero e di idea. A ciò si aggiunga che anche quando, nell'essenziale, si è pervenuto nel corso dell'evoluzione del significato di una parola ad una sovrapposizione con lo spettro semantico di una parola di un'altra lingua ai più attenti non può sfuggire la loro duplice e differente storia da cui hanno ricevuto la forgia; storia che spesso, a dispetto di un uso volgare e sterilizzante del vocabolo, si ostina a sopravvivere nell'essenza stessa del suo significato, con buona pace dei dizionari.
Si presenta così come ancora più utile e opportuno per chi voglia conoscere meglio l'oggetto, con cui non si intende qui la superficie di ciò che ci si illude di vedere bensì il frutto nascosto e proibito che sta sotto quell'involucro, la fatica della traduzione, il laborioso confronto tra le parole che sembrerebbero indicare lo stesso concetto-cosa. Solo alla luce di questa continua messa a fuoco che si avvale anche dei contesti in cui sono collocate le parole ci si può avvicinare allo scopo non senza allontanarvisi svariate volte prima di un più deciso avvicinamento. Nel passaggio e distacco da una lingua all'altra, quando non ci si limita più a pensare in una sola, ci si può come staccare dallo strumento linguistico per corteggiare l'oggetto stesso. Le parole, nel loro avvicendarsi, si impegnano a circuire il concetto in un corteggiamento che sfinisce e che, come natura vuole, nella maggioranza dei casi si conclude apparentemente con un nulla di fatto.
Ma il lavoro della traduzione non è meno utile nel tentativo di comprendere il fatto che così come una lingua la si capice tutta intera e per così dire tutta in una volta e non per somma di elementi (si provi a fare l'esperimento anche cercando di ascoltare e quindi capire le parole di una frase detta nella propria lingua e si vedrà quanto sarà faticoso affidarsi per la comprensione di essa ad un'attenzione diretta alle singole parole e non alla globalità di quanto viene detto) alla stessa maniera si conosce tutta intera e come per intuizione immediata (la quale non per questo può fare a meno di un lungo percorso preliminare) la realtà che con la lingua si vuole esprimere: ogni oggetto è in relazione con gli altri e solo per l'imperfezione del mezzo , il nostro intelletto, sembra sfuggire a questa logica di relazione, o meglio correlazione. Non è possibile tradurre una parola di un testo se manca la frase; si dirà di più, il testo rimane muto senza contesto: quella parola è semplicemente priva di senso. Così come, del resto, l'oggetto e il concetto di esso isolati nella loro individualità non cantano la ricchezza della realtà e lasciano sostanzialmente inappagato l'intelletto che li pensa.

2 commenti:

Tommy David ha detto...

Ti confido una cosa (non so quanto attinente con la tematica del linguaggio, delle lingue e della traslazione di sensi): ambisco ad imparare l'interlingua. (A mo' di esempio, leggi cosa si scrive della Philosophia.)

antonio ha detto...

Benchè l'interlingua possa essere una cosa utile tuttavia il progetto stesso di una lingua, nonostante tutto, artificiale riduce la ricchezza del linguaggio e le possibilità di cogliere la varietà insita in ogni concetto con l'effetto di allontanarci dall'oggetto. MA anche se si introducesse a livello planetario l'uso generalizzato di una sola lingua, anche della più filosofica, ipotizziamo il greco antico, sarebbe sempre una perdita per il pensiero e quindi per la realtà.